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Questa serie di scatti è stata realizzata durante alcuni mesi trascorsi al campo rom di Scampia, tra Settembre 2007 e luglio 2008, dove ho tenuto un laboratorio di fotografia partecipativa per un gruppo di bambini inserito nel progetto documentaristico “Nobody's Children” del giovane videomaker Giuseppe Russo prodotto dall' associazione Visione Globale e in collaborazione con la cattedra di cinematografia documentaria dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa.

l volto di un bambino rom, che dal finestrino dell’auto ci chiede insistentemente l’elemosina, non ci mostra che un’immagine parziale, distante ed esteriore di ciò che è la sua vita quotidiana.

Il mio vuole essere uno sguardo altro sulla vita dei bambini nel campo durante i mesi trascorsi con loro, una quotidianità fatta di tanti disagi come la responsabilità di crescere un figlio ancora ragazzini, ma anche di gioco, scuola e attività come la musica e la danza. Un tassello in più per conoscere la cultura rom.

A Scampia sotto un ponte di un tratto dell’ Asse Mediano in uno dei quartieri più a rischio della città di Napoli affiora un mondo con altre tradizioni, un’altra lingua e un altro stile di vita: un villaggio con abitazioni fatte di legno, mattoni, lamiere ed altri materiali raccolti vicino ai cassonetti dei rifiuti, scarti urbani che si trasformano in risorse preziose, se visti con gli occhi di chi fa della sopravvivenza una prerogativa per il domani. I detriti intorno alle baraccopoli, la mancanza di infrastrutture adeguate, le fogne a cielo aperto, la presenza di insetti e topi costituiscono una minaccia costante per la salute dei rom, che sono esposti sempre di più al rischio di malattie infettive.

ll Campo rom di Scampia accoglie 800 persone, tra adulti e bambini, ed è attualmente il più grande accampamento della regione Campania. Pur trattandosi di popolazioni di origine nomade, sarebbe molto più corretto considerare i rom di Scampia come di fatto stanziali, in quanto risiedono nella città di Napoli da circa tre decenni. Sono in maggioranza ex jugoslavi (bosniaci, kosovari, slavi), che al tempo delle guerre nei Balcani si sono rifugiati in Italia per sfuggire alla fame, alla devastazione e alle persecuzioni. Sono entrati in Italia riuscendo ad ottenere la protezione umanitaria e il relativo permesso di soggiorno (art.11 del Testo UNICO). Attualmente, in seguito alla risoluzione dei conflitti nell’area balcanica, ai rom stanziati nel nostro Paese non viene più garantita la protezione umanitaria “per oggettive e gravi situazioni personali”, e di conseguenza viene a decadere anche il loro permesso di soggiorno in Italia.

I loro figli sono nati e cresciuti qui, frequentano le scuole italiane, parlano la nostra lingua e, anche se vivono tra le baracche, affermano di preferire l’Italia al proprio paese di origine. Pur risiedendo nel nostro Paese da molti anni la legge italiana non riconosce ad essi uno status giuridico, in quanto la cittadinanza non viene concessa tenendo conto dei legami geografici, bensì su vincoli di sangue. I figli di genitori rom clandestini che nascono in Italia non vengono considerati cittadini italiani, e perciò lo stato non garantisce diritti fondamentali come la salute, la casa e l’istruzione.

Nonostante le numerose difficoltà, alcune associazioni locali come Chi Rom e Chi No e Opera Nomadi cercano di sopperire alle esigenze della popolazione rom e in particolar modo dei più piccoli promuovendo numerosi progetti volti all'integrazione sociale, alla scolarizzazione soprattutto delle bambine che tendono a sposarsi molto giovani abbandonando gli studi.

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All images and Original Text © Claudia Nuzzo 

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